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mario matto & c.

27 Ottobre 2007
Comunicati e inviti di Mario Matto & C. riferiti alla mostra presso la Galleria studio.ra



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Mario Matto & i suoi compagni… ovvero
"…come chiedervi di divenire… e di com-parire tra voi"
di Gabriele Perretta

Cos’è Mario Matto & C.? A questa domanda che viene posta all’inizio di ogni evento, di ogni mostra, di ogni performance e di ogni gesto primario o multimediale che concerne la comunicazione e l’affermazione attiva del gruppo, lo statement di Mario Matto & C. si presenta pressappoco così: Mario Matto & C. è un laboratorio partorito nell’ottobre del 2000 per conto di “artisti” (1) e “gente comune” (2), ma anche un’area di praticabilità fisica e mentale attuabile senza fine e ovunque. L’appellativo (che è un “nome senza nome”) deriva da un ready-made (3): un graffito tracciato da anonimo (4) su una porta d’ingresso.
In effetti, in questa breve dichiarazione d’intenti di Mario Matto & Compagni si condensano tutte le ragioni estetiche, politiche, sociali, artistiche del gruppo di ricerca. A partire da questo territorio di intervento linguistico ed espressivo in “arte” (se, come dicono gli stessi componenti del gruppo, si può ancora parlare di quella cosa che nel secolo scorso chiamavamo Arte), si favorisce una riflessione sul senso del comunitarismo artistico. Possiamo inoltre ribadire che qui il gruppo sta per una vera e propria costituente, fino ad essere spiegato come una “comunità di operatori”, che dopo la & commerciale ricorda di mettere insieme dei soggetti solidali.
Si i “compagni”! Volti sociali e “poco ideal-tipici”, che indubbiamente indicano persone che stanno insieme agli altri, ma anche quelli che sin dagli anni ’70, rivendicando ragioni libertarie di prima e dopo il ’68, venivano definiti soggetti politici di un movimento. Insomma, quelli che la storia politica dell’800 e del ‘900 ha sempre indiziato come figure negative, o quelli che la Storia dopo l’’89 ha fatto andare in prescrizione, pregiudicandoli, grazie al contributo di intellettuali-poliziotti della sinistra storica, in un fascicolo di potenziali ricercati e in un registro di probabili indagati.
I Compagni che si rivelano nell’intestazione di Mario Matto sono quelli ad litteram, quelli che dal latino volgare si intendono con “cum + panis”, ovvero: quelli di merenda, quelli che mangiano lo stesso pane. I compagni sono quelli che Roman Jakobson, nel “problema Majakovskij”, sfruttando un abile senso di appartenenza e di malinconia di sinistra, chiama “O pokolenii, rastrativlem svoich poetov” (5). In altri termini, proprio in questo punto, mettendo insieme un po’ di enfasi, così come la sapeva raccogliere il verso di Majakovskij, richiamiamo alla memoria: “Ascoltate/compagni posteri,/l’agitatore/e lo strillone. Coprendo fiumane di poesia,…”.
Dunque, Mario Matto & Compagni –in una forma di emancipazione “post più post del post”– dicesi di personale politico (zoon politikon, ma il personale è ancora politico?) che “collabora con altri a titolo di interessi e di aspirazioni comuni”. La struttura del gruppo si presenta di per sé come un’opera in progress, come il frutto di un risultato di lavoro collettivizzato, che richiama la forma dell’associazione instabile, imprevedibile, incalcolabile, così come sono tutte le espressioni collettive non direttamente soggette a movimenti. Mario Matto & Compagni –ricorda ancora lo statement del gruppo–: è “un’aggregazione deviante di individui sensibili ed interessati all’esercizio di attività originate da e legate a quella che ancora nel secolo scorso veniva definita Arte”. Il gruppo… Matto, agganciandosi alla componente “damnée” di ALFAZETART Group, un trust mediale creato da Daniela Cignini nel 1993, da cui scaturisce, mira ad una efficienza glocal o itinerante, dandosi empiricamente in azioni “socioestetiche” speciali e collegiali “no-limits”. La recente organizzazione espositiva, in una nuova festa a Roma, per Mario Matto & Compagni è dunque uno stimolante invito a meditare sul significato del messaggio di quelle Imprese Mediali (1989) e poi art-community (1997) (6)  che seguimmo durante l’evoluzione estetica del Medialismo. E tale invito è ben attuale in un presente dove, per molti “osservanti” del sistema artistico totale, l’esperienza extrartistica (più che extra-media) non è molto più che una pratica esteriore, non riuscendo a nascondere i segni della stanchezza e dell’abitudine, e dove per i “dissidenti radicali” l’ammonimento di Jean Gimpel, “contro l’arte e gli artisti”, non può restare inascoltato…

NOTE
(1) dove per artisti si intende in maniera indistinta: artefici, maestri, pittori, scultori, architetti, musicisti, attori, poeti e soprattutto altri…

(2) senza arrivare alla presunzione teologica del primo presidente degli Stati Uniti d’America, che definiva la gente comune con la frase seguente: The Lord prefers common-looking people. That is the reason he makes so many of them, diciamo pure che per gente qui si intende ciò che Dante Alighieri chiama “umana gente” (Purgatorio III, 37-42). O forse vale anche l’accezione che ritroviamo nel poema epico indiano del II e III sec. d. C. nel Mahâbhârata “fratelli e madre e padre e amici altro non sono che gente incontrata per via” (cap. XIII, 873). Forse la gente comune qui è intesa proprio in quell’idea di persone che secondo Andy Warhol non avevano bisogno dell’arte: “An artist is someone who produces things that people don't need to have but that he –for some reason– thinks it would be a good idea to give them” (Diary). Nel discorso di Rousseau sull’ineguaglianza, si parla di “gens assez simplex” e Giordano Bruno, nella seconda parte de La cena delle Ceneri, per spiegare l’accezione di gente comune, parla di “ordinaria gente”.
Naturalmente, nessuna di queste espressioni, che indirettamente tenta di avvicinarsi all’accezione sociologica di gente comune, ha a che fare con l’espressione oraziana misera plebs. Diciamo che la parola gente non sta neanche per il sinonimo equivoco di stirpe o nazione, ma più semplicemente come “insieme di persone prese collettivamente”. Invece, il vocabolo comune è equivalente a “ciò che appartiene e che si riferisce a tutti, generale, pubblico”, proprio come se dicessimo che riguarda la public art.

(3) dall’inglese alla lettera: pronto, confezionato; termine notoriamente coniato da M. Duchamp, la trimurti dell’arte contemporanea, che nel 1913 circa, per definire un oggetto d’uso comune, isolato dal suo normale contesto e trattato come opera d’arte, accosta il significato a quello di objet trouvé.

(4) È proprio curioso che tradizionalmente nella storia dell’arte il termine maestro è affidato ad un’artista anonimo che si distingue per i suoi caratteri stilistici. Forse è inutile ricordare che la parola anonimo viene dal greco: anonymos, ovvero è composto dall’an privativo e dalla bella definizione di ònoma (nome). Anonimo significa privo di nome, nel senso di opera di cui volontariamente o involontariamente si ignora il nome.

(5) Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Il problema Majakovskij [1930], a cura di Vittorio Strada, Einaudi, Torino, 1975.

(6) Qui rimandiamo al catalogo di Metessi, Galleria Carrieri, Roma 1989 e al catalogo delle Imprese Mediali, Galleria Forum, Roma, 1992 e poi agli scritti di Perretta che dal 1997 confluiscono in art.comm, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2002.